La stagione lirica 2012 – 13 a Reggio Emilia si chiude con un omaggio a Benjamin Britten nel centenario della nascita, riprendendo un allestimento storico e consolidato dell’opera The rape of Lucretia per la regia di Daniele Abbado che, andata in scena a Genova nel 1999, andò in scena nel Teatro reggiano nel 2004 e ora viene riproposta con l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Jonathan Webb, in una coproduzione che coinvolge i teatri di Firenze e Ravenna. In ogni caso lo spettacolo è apparso, come allora, splendido e di rara efficacia, raffinato ed elegante, di sicuro fra i più riusciti del regista milanese, uscente direttore artistico del teatro reggiano.
The Rape of Lucretia (rappresentata per la prima volta nel 1946, un anno dopo Peter Grimes) è un’opera nella quale viene messo in risalto il tema dell’innocenza violata e qui insistentemente tradotto al femminile. Il dramma è ispirato alle vicende tratte dalle Storie di Tito Livio e da Shakespeare: al tempo del settimo re di Roma, Lucrezia, famosa per la sua virtù tra le donne romane, durante l'epoca del dominio etrusco, viene violentata da Tarquinio, figlio del re, e stuprata nel suo letto mentre sogna il ritorno di suo marito Collatino. Non sopportando la vergogna e soprattutto non accettando l'infamia dell’atto, Lucrezia si uccide davanti al marito, benché questi le assicuri il suo amore e le dichiari che nessun corpo può essere violato se lo spirito si oppone. Troppo tardi. Ai familiari non resta che trarre l'amara morale, confidando in una Fede superiore capace di combattere la disperazione con la speranza.
Solo otto personaggi si avvicendano in quattro scene suddivise in due atti e ogni scena è divisa da interludi affidati a due cori, impersonati da un solo cantante per parte, soprano e tenore: tocca a loro svolgere la funzione di narratori e commentatori fuori scena; leggendo il libro della storia raccontano, commentano, interagiscono con i personaggi, ne amplificano i sentimenti diventandone a volte la voce. Questo coro anomalo e fuori tempo, dopo aver presentato l’ambiente storico in cui si svolge la vicenda, narrando con quali mezzi il re Tarquinio il Superbo abbia raggiunto il potere e come lo gestisca, dice “ Mentre noi staremo qui come due osservatori, tra quella scena e il pubblico presente, guarderemo queste umane passioni e questi anni con occhi che un tempo hanno pianto con lacrime di Cristo”. Il richiamo al sacrificio del Figlio di Dio, che con la sua morte ha riscattato l’umanità è, suggerisce Britten, l’unica chiave di lettura di questa tragedia e di tutte le tragedie umane; pertanto viene chiarito in questo punto l’intento edificante e morale dell’opera.
La scena fissa, opera di Gianni Carluccio (autore anche dei costumi e delle luci), in cui tutto si svolge è volutamente spoglia. Sul palcoscenico si eleva una struttura retta da due colonne ispirate all’archeologia industriale che crea un piano elevato su cui, fuori del tempo, si muove il Coro e dove andrà a morire Lucrezia che diventerà il simbolo del riscatto di Roma.
I bei costumi a tema e perfettamente integrati, agiscono all’unisono con le tonalità delle luci, in una foggia filologica per i protagonisti mentre i Cori indossano soprabiti blu elettrico e parrucche bianche. Abbastanza riuscita la combinazione di azioni e delle videoproiezioni elaborate da Luca Scarzella, con immagini dell’Apollo di Veio o di altra arte etrusca e nello stesso tempo delle miserie umane dalla più sconcertante attualità, o di fiamme e di cavalli in stretto legame con la trama; purtroppo, nel secondo atto, l’inserimento di immagini della Shoa sembrano un poco forzate e non perfettamente a tema.
Complessivamente è un allestimento che non risente dei suoi anni, ma si guarda con piacere e con gusto per la scelta registica raffinata e convincente. Tutto è calibrato, mai convenzionale o stereotipato, ma i personaggi sono ottimamente caratterizzati e drammaticamente rappresentati.
Alla guida di 12 strumentisti dell’orchestra del Maggio Musicale il maestro Jonathan Webb, che ha affrontato la non facile partitura in modo egregio, riuscendo a dare respiro e importanza alle voci, creando con così pochi strumenti una efficace tensione e mettendo in risalto il forte senso teatrale di questa musica.
Buono il cast vocale. Brava, anche se con qualche difficoltà nel primo atto, la Lucretia di Kirstin Chavez, ottima presenza scenica e drammaticamente convincente. Nel difficile e impegnativo ruolo del Male Chorus, Gordon Gietz riesce a svolgere la parte anche nei momenti più ardui. Anche Susannah Glanville, nel Female Chorus, ha dato una buona prova canora. Il Tarquinius di Jaques Imbrailo è stato il personaggio emergente della serata: ottima voce, bella ed equilibrata potenza, grande presenza scenica. Valido e con bella voce il Collatinus di Joshua Bloom. Più che sufficiente la prova di Philip Smith in Junius. Gabriella Sborgi è stata una convincente Bianca. Appena sufficiente Laura Catrani in Lucia.
In un teatro Valli con troppi posti vuoti per un così interessante e bell'allestimento, il pubblico presente ha mostrato con passione di apprezzare il lavoro registico e dei cantanti.
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